Per avvicinarci a Metal Gear Solid Delta: Snake Eater, in uscita il 26 agosto 2025, pubblicheremo una serie di editoriali speciali dove parleremo del titolo che ha dato vita alla Saga di Metal Gear Solid come la conosciamo oggi, parleremo dei suoi personaggi, i temi e la scelta di Konami di iniziare dal prequel e non dal primo Solid del 98 possa essere una scelta giusta o meno. Mettetevi comodi e cominciamo.

Quando Konami ha annunciato Metal Gear Solid Delta: Snake Eater, le reazioni dei fan di lunga data sono state un misto di entusiasmo, nostalgia e apprensione. La scelta di ripartire da Snake Eater – terzo capitolo numerato ma, narrativamente, origine stessa dell’epopea di Metal Gear – non è casuale.

È una mossa precisa, ponderata, e al tempo stesso carica di rischi. Per comprenderla a fondo, bisogna tornare alle radici della saga e alla visione che Hideo Kojima ha scolpito più di trent’anni fa, sui circuiti ancora acerbi dell’MSX2.

Metal Gear Solid Delta: Snake Eater | Il ritorno all’inizio…o quasi

Konami, oggi più che mai, vive di equilibri delicati con il suo pubblico. Dopo il burrascoso addio di Kojima, il timore che la saga di Metal Gear potesse svanire o, peggio, degenerare in spin-off insulsi (Metal Gear Survive docet) ha accompagnato per anni i fan. Per questo il ritorno di Snake Eater non è solo un’operazione commerciale, è un tentativo di riconnessione: un ponte tra il glorioso passato e un incerto futuro.

Ma perché Snake Eater? Non il primo Metal Gear Solid, non The Phantom Pain, non un reboot dell’intera serie? La risposta è duplice. Da un lato, Snake Eater è il capitolo che meglio regge il peso del tempo. Ambientato negli anni ’60, in un contesto più “storico” che “futuristico”, è meno vincolato dalla tecnologia e dalle meccaniche di gameplay degli anni 2000. I suoi temi – la guerra fredda, il tradimento, il legame tra maestro e allievo – sono universali e profondamente umani.

Dall’altro, Snake Eater è la chiave di volta narrativa di tutta la saga. Raccontare l’origine di Big Boss, comprendere le sue motivazioni, osservare la nascita dell’ideologia che porterà agli eventi di Outer Heaven e Zanzibar Land, significa riannodare i fili di una mitologia videoludica complessa, stratificata, unica.

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Gli eventi di Snake Eater danno inizio a una vera a propria Saga

Pregi della scelta

Il primo grande pregio della scelta di Konami sta nella possibilità di reinserire nuovi fan nella saga senza obbligarli a conoscere tutta la storia pregressa. Snake Eater è, in sostanza, un perfetto punto di partenza. Non richiede conoscenze pregresse su Solid Snake, Liquid, Revolver Ocelot o i Patriots: è l’inizio di tutto.

Dal punto di vista tecnico, poi, la giustificazione è altrettanto forte. Metal Gear Solid 3 è uscito originariamente su PlayStation 2 nel 2004: un remake permette di modernizzare grafica, animazioni, fisica ambientale (fondamentale in un gioco di sopravvivenza nella giungla) senza toccare l’essenza del gioco. E se il team di sviluppo riesce a mantenere il design dei livelli, il sistema di sopravvivenza e l’approccio stealth, potremmo trovarci davanti a uno dei migliori remake mai realizzati, sulla scia di Resident Evil 2 Remake.

Inoltre, partire da Snake Eater permette di mantenere una coerenza stilistica per eventuali futuri rifacimenti. Se Delta avrà successo, è facile immaginare Metal Gear Solid e Metal Gear Solid 2 rifatti con lo stesso motore e filosofia.

Difetti e rischi

Ma non è tutto oro quello che luccica. Il rischio principale di questa scelta è culturale: Snake Eater non è “solo” un videogioco. È il frutto della mente di Hideo Kojima, la sua regia cinematografica, il suo ritmo narrativo atipico, la sua ironia tagliente. Ricrearlo senza di lui significa camminare su un campo minato.

La paura è che Konami possa “normalizzare” Metal Gear, smussando i suoi angoli più strani: le interminabili conversazioni radio, i boss fight assurdi e iconici come The End o The Sorrow, i momenti in cui il gioco rompe la quarta parete. Senza Kojima a supervisionare, c’è il rischio che Snake Eater perda parte della sua identità, trasformandosi in un survival action game tecnicamente eccellente ma privo di anima.

Dal punto di vista narrativo, inoltre, la scelta di partire da Snake Eater comporta un’altra insidia: nuovi giocatori potrebbero non avvertire il peso emotivo delle scelte di Big Boss nei giochi successivi, non avendo il background di Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake per MSX2.

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La speranza dei fan e che Metal Gear Solid Delta abbia ancora l’anima del suo autore

Hideo Kojima: Il Maestro della Genesi

Quando Kojima, nel 2004, decise di ambientare Metal Gear Solid 3 negli anni ’60, fece una scelta brillante e audace. Dopo due capitoli dominati da complotti cibernetici e ingerenze digitali, tornare alle origini della guerra, allo scontro umano e ideologico puro, rappresentava un ritorno alla radice stessa del concetto di “guerra”.

Big Boss, allora ancora Naked Snake, non è un eroe puro: è un soldato, una pedina sacrificabile in giochi di potere più grandi di lui. Il tradimento di The Boss – la sua mentore, il suo amore platonico – lo segnerà per sempre, piantando il seme della ribellione che culminerà negli eventi su MSX2.

I primi Metal Gear, infatti, raccontano l’epilogo di una parabola iniziata proprio nella giungla sovietica. In Metal Gear (1987), Solid Snake deve infiltrarsi a Outer Heaven, il paradiso militare creato da Big Boss, per fermare i suoi piani. In Metal Gear 2: Solid Snake (1990), la lotta tra i due raggiunge il culmine, in una narrazione che già prefigurava temi complessi come il doppio, la clonazione e la manipolazione geopolitica.

Kojima ha sempre pensato a Metal Gear come a una riflessione sul senso stesso della guerra, sulla natura degli eroi e dei villain. Snake Eater è il punto in cui la tragedia si innesca: comprendere questo capitolo significa capire tutto ciò che seguirà.

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Snake Eater è il punto più alto di Kojima nell’intera saga

Il legame tra Delta e il futuro della serie

Metal Gear Solid Delta: Snake Eater sarà molto più di un semplice remake: sarà un giuramento di fedeltà. Sarà una promessa fatta ai vecchi fan, a chi ha camminato nella giungla con Naked Snake, a chi ha visto l’alba su Outer Heaven, a chi ha pianto di fronte ai crediti di The Boss.

Se Konami riuscirà a rispettare l’eredità di Kojima, potrà davvero riaccendere la fiamma di Metal Gear, quella che non si limita a raccontare storie di guerra, ma parla di ideali traditi, di legami spezzati, di uomini e donne che lottano non per vincere, ma per non dimenticare chi sono.

Forse, allora, vedremo rifiorire anche i semi piantati su MSX2 tanti anni fa. Forse rivedremo Solid Snake e Big Boss affrontarsi di nuovo, stavolta con una forza narrativa e visiva all’altezza della loro leggenda.

Ma se Delta tradirà lo spirito originario, se il remake si limiterà a un’operazione di maquillage senza anima, allora non perderemo solo un gioco. Perderemo una parte di noi, una parte di quell’infanzia videoludica che credeva ancora che un videogioco potesse essere più di un passatempo: potesse essere una ferita aperta, un ideale in frantumi, una scelta impossibile.

Per ora, possiamo solo attendere, col fiato sospeso nella giungla, ascoltando il battito dei nostri cuori. Sperando che, sotto la grafica scintillante e il marketing spietato, viva ancora il respiro caldo e umano di Metal Gear.

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