Negli ultimi anni il genere degli extraction shooter ha visto un’esplosione di interesse, guidata da titoli come Escape from Tarkov, The Cycle: Frontier e Hunt: Showdown. In questo scenario già competitivo, trovare un punto di differenziazione è diventato sempre più difficile. Quando ho avuto modo di provare Arc Raiders, il titolo in sviluppo da Embark Studios, ho capito che l’approccio scelto punta su un equilibrio tra accessibilità e profondità.
La mia sessione si è svolta in una build avanzata che mi ha consentito di toccare con mano non solo le meccaniche fondamentali, ma anche parte dell’impostazione endgame. L’intento degli sviluppatori è chiaro: non reinventare il genere, ma proporre un’alternativa solida, con elementi ben congegnati e un’atmosfera curata.
Fin dai primi minuti si intuisce che lo studio svedese vuole offrire un’esperienza coerente e leggibile, ma capace comunque di mantenere un buon grado di tensione e imprevedibilità.
ARC Raiders Provato | Un’Italia post-apocalittica ricostruita con criterio
L’aspetto che mi ha colpito subito è stata la scelta dell’ambientazione. Arc Raiders è ambientato in una versione alternativa dell’Italia, devastata e abbandonata, ma ancora riconoscibile nei suoi tratti essenziali.
Cartelli stradali, tunnel della metropolitana, architetture e persino graffiti restituiscono un’immagine familiare che viene però filtrata da uno scenario di collasso sociale e invasione tecnologica. Camminando tra queste rovine si percepisce un contrasto ben costruito tra la memoria di un mondo passato e la nuova realtà che lo ha sostituito.
Questa ambientazione non è solo decorativa. Durante l’esplorazione mi è capitato più volte di orientarmi proprio grazie a questi elementi familiari, che contribuiscono a un worldbuilding silenzioso ma efficace.
Struttura e obiettivi: cosa si fa in Arc Raiders?
Il cuore dell’esperienza ruota attorno al ciclo “entra, raccogli, sopravvivi, esci”. In qualità di Raider, sono partito dall’hub principale chiamato Speranza, una struttura sotterranea che funge da base operativa per tutte le spedizioni in superficie.
Ogni uscita rappresenta una missione ad alto rischio, in cui si entra senza sapere esattamente cosa si troverà. La morte comporta la perdita di tutto il bottino raccolto, aumentando l’importanza delle decisioni tattiche.
Nonostante questa impostazione ormai familiare nel genere, ho apprezzato la scelta di mantenere una curva di apprendimento graduale, con un’interfaccia pulita e una gestione dell’inventario semplificata rispetto ad altri giochi simili.
Tra una spedizione e l’altra ho avuto modo di interagire con i venditori dell’hub, che offrono missioni opzionali. Questi incarichi incentivano a esplorare determinate zone, cercare oggetti specifici o eliminare bersagli segnalati, aggiungendo una motivazione ulteriore oltre al semplice saccheggio.
Completare queste missioni mi ha permesso di ottenere materiali rari, crediti e strumenti per espandere la base. Ho potuto costruire stazioni per la produzione di munizioni, medikit, torrette difensive e altri oggetti di supporto.
Interessante anche la presenza di elementi gestionali secondari, come l’addestramento di una gallina da compagnia capace di aiutare nella raccolta delle risorse. Un’aggiunta leggera, ma che dimostra la volontà di Embark di introdurre anche momenti meno tesi all’interno di un contesto altrimenti molto rigido.
Combattimento: evitare è spesso meglio che affrontare
Una delle prime cose che ho imparato sul campo è che combattere non è sempre la scelta migliore.
Durante l’esplorazione, ho incontrato i famigerati ARC, droni meccanici di varie taglie e funzioni. Le unità più piccole pattugliano strade secondarie e rovine, mentre quelle più avanzate, come i quadrupedi corazzati, presidiano zone ad alto valore.
Attaccare un ARC è fattibile, ma comporta l’utilizzo di risorse preziose e il rischio di essere individuati da altri giocatori o nemici IA. In molti casi, evitare lo scontro si è rivelata la strategia più efficace, aiutandomi a completare gli obiettivi e tornare indietro con il bottino integro.
La struttura della mappa premia la conoscenza del territorio. Le zone adiacenti a Speranza offrono loot di base, ma per ottenere oggetti di valore è necessario inoltrarsi in aree più remote, dove il pericolo è elevato.
La distribuzione dinamica degli oggetti, legata al grado di saccheggio delle aree, mi ha portato a ragionare attentamente su quando spingermi oltre e quando ritirarmi. Ogni partita è un bilanciamento tra rischio e ricompensa.
Le mappe, inoltre, non sono semplicemente “aperte”, ma costruite con una logica che combina corridoi, snodi verticali e ambienti esplorabili in modo più o meno libero, rendendo l’approccio alle missioni sempre modulabile.
Audio tattico e tensione ambientale
Un punto di forza evidente è l’audio design, su cui Embark Studios ha investito risorse visibili. I suoni ambientali sono distinti e precisi. Passi su superfici diverse, ronzii elettronici degli ARC, vento, pioggia e persino l’eco in ambienti chiusi: ogni elemento contribuisce alla costruzione di una tensione costante.
Durante le partite ho imparato a utilizzare l’audio come strumento di lettura tattica: sentire un drone avvicinarsi, o un’esplosione in lontananza, ha spesso guidato le mie decisioni più che la mappa stessa.
L’estrazione: momento culminante della missione
Dopo aver raccolto abbastanza risorse, la fase di estrazione rappresenta il punto più critico. Le modalità disponibili includono la metropolitana, che richiede una difesa durante l’attesa dell’arrivo del treno, oppure gli ascensori verticali, più rapidi ma anch’essi esposti.
Ogni estrazione è una partita nella partita: ogni rumore, movimento o esitazione può tradursi nella perdita di tutto. Ho sperimentato situazioni in cui, anche giocando in team con altri giocatori, una chiamata mal gestita della metropolitana ha portato a finire intrappolati in una imboscata e perdere tutto il bottino guadagnato a pochi metri dal vagone per la fuga.
Sistema di progressione: semplice ma efficace
Arc Raiders include un sistema di progressione basato su abilità permanenti, come resistenza allo sprint, capacità di trasporto o silenziosità nei movimenti.
Queste abilità possono essere sbloccate con materiali ottenuti durante le missioni e vanno a definire uno stile di gioco personale. Ho scelto fin da subito di puntare sullo stealth e sullo scatto prolungato, costruendo un profilo più orientato alla fuga che al combattimento diretto.
Il rischio, in prospettiva, è che la differenza tra nuovi arrivati e giocatori avanzati possa diventare troppo ampia. Tuttavia, al momento della prova, il bilanciamento sembrava ancora sotto controllo.
Gunplay e prestazioni tecniche
Il combattimento in terza persona è fluido, con un’impostazione arcade ma comunque precisa. Le armi hanno un buon feeling, sebbene l’arsenale disponibile nella demo non fosse particolarmente ampio. Ho utilizzato fucili automatici, SMG, torrette e mine, tutti ben rifiniti, con animazioni solide e tempi di ricarica realistici.
L’uso delle zipline e delle granate tattiche aggiunge varietà alle situazioni più concitate. Il movimento è fluido, il salto ben integrato con l’ambiente e il design delle mappe consente approcci alternativi, anche verticali.
Sul fronte tecnico, il gioco è stabile. Non ho riscontrato bug rilevanti o cali di framerate, anche in situazioni con molti nemici a schermo. L’unico aspetto ancora grezzo riguarda l’interfaccia utente, che in alcuni casi è apparsa poco rifinita.
Arc Raiders mi ha convinto per coerenza progettuale, pulizia dell’interfaccia, tensione ben calibrata e un sound design eccellente. L’ambientazione italiana è un elemento distintivo, così come la scelta di puntare su un gameplay accessibile ma profondo. Rimangono alcune incognite sul fronte contenutistico e sulla tenuta del bilanciamento nel lungo termine, ma la base costruita da Embark Studios è solida. Con il giusto supporto, Arc Raiders può diventare un punto di riferimento nel panorama degli extraction shooter.